Stefano De Caro: “Salvaguardare il patrimonio culturale è importante per costruire un futuro di pace”
Quest’anno ricorre il 60° anniversario della fondazione ICCROM. Nel 1956, ben 11 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, e mentre molte città europee erano ancora in ginocchio, la Nona Sessione della Conferenza Generale dell’UNESCO a Nuova Dehli decise di creare il Centro Internazionale di Studi per la Conservazione ed il Restauro dei Beni Culturali (ICCROM). Tuttavia, l’idea di un’ente internazionale dedicato alla tutela del patrimonio è molto più antica. Già negli anni ‘30, ci fu un animato dibattito tra ricercatori, scienziati, restauratori e conservatori durante il quale, i mondi della scienza, dei musei e delle arti scambiavano idee su come salvaguardare il tesoro culturale dell’umanità.
In una recente intervista, il Direttore Generale dell’ICCROM Stefano De Caro, ha osservato che il concetto di patrimonio culturale è cambiato drasticamente dagli esordi dell’organizzazione.
“Al giorno d'oggi, il concetto di patrimonio è completamente cambiato. È divenuto poliedrico, arrivando a includere beni tangibili e intagibili, e addirittura tesori culturali del mondo naturale,” dichiara De Caro. “Ormai da tempo, la salvaguardia e il restauro del patrimonio non sono più in mano ad esperti. È un argomento che riguarda la società civile nel suo complesso”.
De Caro afferma che mentre la conservazione riveste un ruolo importante in quanto tale, è ancora più fondamentale coinvolgere le comunità locali. Secondo la sua opinione, la salvaguardia può anche aiutare le comunità a riunirsi attorno alla causa della protezione della cultura in caso di conflitti e divisioni.
“Una delle ragioni principali che rendono un’organizzazione internazionale come ICCROM così fondamentale, sta nel fatto che la conservazione del patrimoniale culturale può essere uno stimolo per il dialogo e per la pace, proprio come lo era prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale,” ha osservato De Caro.
Prima della Seconda Guerra Mondiale, la Lega delle Nazioni - un’organizzazione creata subito dopo gli orrori della Prima Guerra Mondiale - fondò l’Ufficio Internazionale dei Musei (IOM) per incoraggiare la cooperazione internazionale sulle questioni di conservazione e restauro. Esperti da molti paesi, che solo qualche anno prima avevano combattuto nella grande Guerra come avversari, ora condividevano e scambiavano opinioni, discutevano sugli usi dei nuovi metodi scientifici per la conservazione ed il restauro.
“Le difficoltà erano tante”, ha ribadito De Caro. “Negli USA, i musei provavano a impedire il traffico di falsi che era un vero e proprio problema all’epoca, poiché persino storici d’arte avevano comprato capolavori contraffatti. Ecco perché esperti scientifici entrarono a far parte del mondo delle arti e dei musei.”
L’Italia, tuttavia, stava affrontando difficoltà totalmente diverse. “ Non dovevamo comprare nulla, ma avevamo bisogno di proteggere tutto al meglio”. Dal punto di vista di De Caro, la richiesta di conoscenze tecniche scientifiche nella conservazione hanno portato alla creazione di diverse associazioni scientifiche nel Regno Unito, in Germania e Belgio. “In quegli anni, l’Italia era all’avanguardia in questo senso, grazie alle teorie di restauro di Cesare Brandi che fu pioniere nell’uso della scienza per tutelare l’arte.”
Cesare Brandi, Paul Coremans, Paul Philippot, e H.J.Plenderleith, sono stati tra i maggiori esponenti di questa “magica storia” che narrava gli sforzi e la visione di coloro che hanno cercato di affidarsi all’aiuto della scienza nella conservazione del patrimonio culturale.
“Dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa ha dovuto affrontare l’ardua sfida della ricostruzione su larga scala”. De Caro inoltre fa notare i tanti paesi emersi subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e i successivi processi di decolonizzazione. Per queste nuove nazioni, il mondo della conservazione culturale era cosa nuova, ed erano entusiaste di poter creare in base alle proprie capacità, delle istituzioni per la ristrutturazione e la conservazione, non legate alle ex potenze coloniali. “C’era un grande bisogno di esperti locali,” afferma De Caro , “specialmente per le scuole di restauro e conservazione libere da associazioni coloniali”. Queste nuove sfide erano ormai al centro di dibattiti internazionali che coinvolgevano ICOM e l’appena creato UNESCO, un dibattito che ha poi portato alla fondazione dell’ICCROM.
Roma, “La Città Eterna”, divenne una scelta naturale come sede centrale dell’ICCROM. De Caro afferma che la capitale italiana è sempre stata al centro di scambi culturali, attirando l’attenzione di molti artisti e studiosi, e di chiunque abbia interesse ad una educazione culturale di alto livello. “Questa città possiede una centralità chiara ed unica in termini culturali”, ha dichiarato.
Quando a Nuova Dehli si decise di creare ICCROM, la prima attività fu quella di trovare Stati membri. I primi cinque paesi che aderirono all’organizzazione sono stati Austria, Repubblica Domenicana, Spagna, Marocco e Polonia. E con la prima Assemblea Generale nel dicembre 1960, diversi Stati, inclusa l’Italia, erano diventati membri dell’ICCROM.
“Ci siamo innanzitutto orientati sull’architettura” ricorda De Caro, “seguita da corsi su affreschi e pianificazione urbana”. Esperti illustri, come Giorgio Torraca, Paolo e Laura Mora hanno lavorato insieme.” De Caro osserva che lo sviluppo delle politiche di conservazione, formazione, la costruzione delle capacità e le attività sul campo rappresentavano le attività principali dell’ ICCROM sin dall'inizio.
Adesso, mentre molte delle attività principali dell'ICCROM e i valori rimangono gli stessi, nuove sfide sono emerse; sfide portate dalle migrazioni di massa e dai problemi di diversità etnica e culturale. “Oggi”, afferma De Caro, "c'è un importante bisogno di reinterpretare il patrimonio culturale nelle grandi città multietniche, che devono allargare gli orizzonti culturali per includere persone provenienti da altri luoghi. Il patrimonio culturale rappresenta la memoria delle persone che stanno migrando verso nuovi paesi, ma anche la nuova cultura che li accoglie ". Sebbene si tratti di una grande sfida, dal punto di vista di De Caro, "abbiamo il dovere di cambiare la storia comune per costruire un futuro di rispetto, dialogo e pace."
"Il mondo odierno deve affrontare molti problemi non diversi da quelli che emersero a seguito della Seconda Guerra Mondiale", conclude De Caro. "Ma io sono fiducioso che gli esperti culturali di oggi, con la loro visione universale e inclusiva del mondo, possono rappresentare la chiave per il dialogo e per la pace."